Carceri: mai più madri in cella con figli minori di 6 anni
La misura di riferimento per le detenute madri con figli minori di sei anni sia la casa famiglia protetta, e non il carcere, prevedendo, tra le altre cose, una presenza più forte dello Stato: dall’attuale obbligo di realizzare case famiglie senza oneri per lo Stato si passi alla possibilità per quest’ultimo di finanziarle, anche parzialmente, e si trasformi in obbligo l’attuale facoltà per lo Stato di stipulare convenzioni con gli Enti locali per individuare luoghi da destinare a case famiglia protette. È quanto prevede, in sintesi, la mozione che ho depositato alla Pisana per chiedere all’assemblea regionale di presentare al Parlamento la proposta di legge di iniziativa regionale concernente “Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, n. 62 in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”. Il recente caso del bimbo di due anni cresciuto in carcere a Rebibbia con la madre con inevitabili privazioni e ripercussioni sul proprio sviluppo è un affronto allo Stato di diritto e al principio di equità sociale in base al quale tutte e tutti nasciamo, e dobbiamo crescere, con le stesse possibilità. Negare questo principio significa negare il futuro a bambine e bambini che non hanno colpa del vissuto dei propri genitori e la possibilità di recupero e integrazione di detenute e detenuti. È ovvio che, per far sì che non ci siano più casi come quello di Rebibbia, debbano esserci norme e risorse adeguate e un dialogo costante con gli attori del settore. Per questo ho presentato anche una richiesta di audizione con la direttrice del carcere di Rebibbia, la Garante dell’Infanzia e il Garante dei detenuti del Lazio, che mi auguro sia accolta al più presto dalla maggioranza di destra.
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