La Giunta Rocca sempre di più contro le donne!

Ieri in Consiglio regionale è stata definitivamente votata la proposta di legge per la (re)istituzione della Consulta femminile per le pari opportunità.
Con le altre colleghe del Partito Democratico siamo riuscite a far approvare numerosi emendamenti, ma alcune prese di posizione della maggioranza di centrodestra su aspetti chiave della proposta ci hanno costretto a esprimere alla fine un voto contrario. Siamo riuscite a far includere tra le funzioni della Consulta la tutela dei diritti delle donne e il contrasto alla violenza di genere, che non erano state prese in considerazione, e a inserire il riferimento alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 e all’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030. Siamo riuscite a far prevedere che le componenti della Consulta siano individuate a seguito di un apposito Avviso pubblico, in modo da garantire la trasparenza delle nomine, e a limitare la rappresentanza alle associazioni che siano effettivamente attive sul territorio regionale. Siamo riuscite a far prevedere che per ogni componente sia individuata anche una supplente, nel caso in cui la prima abbia difficoltà a partecipare ad una seduta, e a far prevedere la decadenza delle componenti in caso di più di tre assenze ingiustificate, in modo da garantire una partecipazione effettiva e non meramente nominale. Fin qui le luci.
Purtroppo, molte di più (e molto più pregnanti) sono state le ombre, tali da indurci a dare alla fine una valutazione complessivamente negativa dell’articolato. È stata infatti rifiutata la nostra proposta di allargare il numero delle componenti in rappresentanza dell’associazionismo dalle 10 previste nella proposta ad almeno 30. Ci è stato proposto di aumentare a 16, ma il numero ci è sembrato veramente troppo basso per garantire la necessaria rappresentatività delle numerosissime realtà, istanze e competenze a cui le donne danno vita sul territorio laziale con il loro impegno quotidiano. Ancor peggio, abbiamo appreso – a seguito del rifiuto ad un nostro emendamento – un aspetto che non era mai emerso né nel corso delle audizioni né nel corso delle votazioni in Commissione. Tra le 5 componenti della Consulta di nomina presidenziale potranno essere previsti anche soggetti di genere maschile, il che – oltre a ridurre ulteriormente la rappresentatività delle donne nell’organo – rende contraddittorio il suo stesso nome “Consulta femminile”, che è sancito addirittura nello Statuto regionale Infine, la legge non è stata finanziata con risorse proprie, se non miseri 4.000 euro per i rimborsi spese del Presidente e dei due Vicepresidenti (uso l’articolo maschile volutamente, dal momento che a questo punto non possiamo più essere sicure che si tratterà di donne). Le risorse aggiuntive rispetto ai 4.000 euro di rimborsi spese – grazie a un emendamento dell’Assessore al Bilancio Righini – dovranno essere attinte dagli stanziamenti previsti per altre leggi regionali a favore delle donne: la 4 del 2014 per il contrasto alla violenza di genere, la 7 del 2021 per la parità retributiva e la 3 del 2022 per promuovere l’accesso delle donne alle discipline e alle professioni cosiddette STEM (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche). È stato, in pratica, come se l’Assessore al bilancio Righini avesse detto a tutte le donne del Lazio: “Volete la Consulta femminile? Pagatevela con le vostre leggi!”. Alla fine, quindi, avremo una Consulta non rappresentativa, composta anche da uomini e senza risorse che non siano quelle tolte ad altre leggi a favore delle donne. Oltre al danno, la beffa! Una beffa contro cui non possiamo stare a guardare.
Non staremo a guardare!