LA PRESENTAZIONE DEL PREMIO COLASANTI – LOPEZ 2022 NELLO “SPAZIO LAZIO TERRA DI CINEMA”

Il massacro del Circeo è stato il delitto del più forte sul più debole, del ricco sul povero, dell’uomo sulla donna, della gioventù dei parioli su quella delle periferie.

Ma fu anche il delitto delle femministe che si costituirono parte civile che smascherò la retorica borghese, che costrinse tutti a guarda in faccia la banalità del male.

Donatella continuò a combattere fino a quando, a soli 47 anni, il cancro ebbe la meglio, ma dobbiamo a lei e al portato che la sua storia e il suo coraggio hanno avuto sulla società italiana la legge che trasformò lo stupro da reato contro la morale a reato contro la persona.

Donatella aveva acquisito consapevolezza del fatto che il problema della violenza sulle donne non è semplicemente una questione di donne contro uomini, di affetti e di amori non corrisposti, ma è un problema che coinvolge la società intera e gli equilibri su cui la stessa si regge. Un problema strutturale che ha a che fare con il nostro sistema di convivenza sociale.  La violenza contro le donne non è un fenomeno di natura episodica, né emergenziale: è un problema strutturale. È una manifestazione dei rapporti diseguali tra i sessi che hanno portato alla dominazione maschile sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti, ed è un ostacolo fondamentale al raggiungimento della piena uguaglianza.

Italo Calvino l’8 ottobre 1975 commentò così sul Corriere della Sera: “i responsabili della carneficina del Circeo sono in molti e si comportano come se quello che hanno fatto fosse perfettamente naturale, come se avessero dietro di loro un ambiente e una mentalità che li comprende e li ammira”. E questo humus socioculturale ce lo ha raccontato brillantemente – crudelmente – Albinati nel suo libro. Ma lo ritroviamo, con i dovuti accorgimenti, ancora oggi nella nostra quotidianità.

Quelle paroli sono attuali. Vedete, c’è un filo rosso che collega i fatti del Circeo al giorno d’oggi: la violenza del branco, la sensazione di impunità, il gusto della violenza. Ma ancora di più il fatto di trovare sempre e solo la donna sul banco degli imputati in quello che Tina Lagostena Bassi, che fu poi l’avvocata di Donatella, definiva processo per stupro. Pensiamo alla retorica romantica del femminicidio, alla narrazione tossica della violenza che sui media quotidianamente ci viene proposta. Pensiamo a quante volte ci viene chiesto, ancora oggi, come eravamo vestite quando ci hanno molestate. Pensiamo a quanta fatica si fa per denunciare una violenza e quanta se ne fa per essere credute. Pensiamo anche a quante ragazze hanno avuto raccomandazioni su come evitare una violenza e quanti ragazzi, al contrario, non hanno mai avuto indicazioni sull’importanza di non essere violenti.

Oggi siamo di fronte alla potenza, anche distruttiva, dei nuovi linguaggi social molto utilizzati dalle ragazze e dai ragazzi. La violenza contro le donne assume nuove forme e connotazioni e richiede riflessioni e risposte serie soprattutto dal punto di vista culturale.

L’uguaglianza sostanziale che viene citata nell’articolo 3 della nostra Costituzione, forse uno dei più belli, in cui si dice che la Repubblica ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Noi rappresentiamo le istituzioni e abbiamo il dovere di lavorare sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione e l’intervento educativo – grazie al lavoro dei dirigenti e docenti che accompagnano ogni giorno la crescita di ragazze e ragazzi – può essere lo strumento più efficace per restituire alla nostra rappresentazione del mondo e dei generi profondità e complessità, uguaglianza e differenza, e per promuovere relazioni basate sul rispetto tra le cittadine e i cittadini di domani.

Per questi motivi ho sentito il dovere, con un emendamento alla legge di bilancio di ri-finanziare il premio dedicato a Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, rivolto alle nostre ragazze e ragazzi delle scuole superiori del Lazio.

Nelle sue prime nuove edizioni il Premio ha messo alla prova centinaia di studenti e studentesse con elaborati scritti, prodotti musicali e artistici, audio-video, fumetti e molto altro. Abbiamo stimolato il protagonismo delle classi che – a partire dalla conoscenza e dalle riflessioni sulle vicende del Circeo – hanno rielaborato, in una sorta di “autoformazione”, i fatti producendo contenuti che fossero di sensibilizzazione e contrasto a ogni forma di violenza. Lo abbiamo fatto mettendo al centro le loro voci e sensibilità, ma soprattutto i loro linguaggi.

Questa scelta, che ha trovato l’appoggio coraggioso dell’allora assessora regionale Giovanna Pugliese, è stata guidata dalla profonda convinzione che si debba rimettere al centro i ragazzi e le ragazze, per diffondere la cultura del rispetto e della parità di genere. Con questo Premio la Regione Lazio riafferma il ruolo della scuola nella sfida, che è prima di tutto culturale, contro quei pregiudizi e quel modello di pensiero che colpevolizza la donna e permette, nel silenzio generale, che la violenza si diffonda ed entri nelle nostre vite, fino agli esiti più tragici.

L’educazione al rispetto contribuisce alla prevenzione della violenza maschile contro le donne incoraggiando, da un lato, il superamento degli stereotipi di genere e, dall’altro, una visione delle differenze come ricchezza e non come fondamento di una presunta gerarchia tra uomini e donne.

È così che si può disinnescare all’origine la cultura di cui si nutre la violenza. Non si tratta di abolire le differenze tra donne e uomini, ma di combattere le diseguaglianze. Non c’è nulla di naturale in stereotipi che escludono le donne da incarichi apicali o da alcuni ambiti del mondo del lavoro, o che descrivono le ragazze come inadatte agli studi scientifici. Eppure, questi stereotipi producono effetti reali in un Paese dove, per esempio, una donna su due non lavora e una su tre ha subito una qualche violenza nel corso della sua vita.

E quindi, la scelta di rilanciare il Premio Colasanti-Lopez viene da questi ragionamenti e guardare lontano. Se dovessi dire perché l’ho fatto, beh, per ricordare Rosaria, il valore dell’amicizia e il macigno di una giovane vita strappata dalla violenza brutale. L’ho fatto per Donatella, per le sue poesie e il suo spirito di resistenza e per i suoi occhi. Gli occhi di chi si salva, ma non potrà mai dimenticare, gli occhi dei testimoni, delle donne violate, di tutte coloro a cui hanno strappato un sogno, una speranza per sempre, ma non il cuore, non la vita che combatte. Allora, vi saluto così. Agli occhi di Donatella, ai sogni di libertà che grazie alla scuola si potranno realizzare, perché i e le giovani non dimentichino mai che l’educazione è l’arma più potente per cambiare il mondo.

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Le voci della giornata dedicata al Premio

La video-intervista integrale a cura di Lazio Innova: