INFANZIA/ LA LEGGE SULLO 0-6 APPRODA IN CONSIGLIO REGIONALE: LA MIA RELAZIONE IN AULA
Credo che ricorderemo il 2020 come un nuovo anno zero.
Un momento che ci ha messi tutti di fronte alle nostre debolezze personali, in una quotidianità obbligata.
Una vicenda che ha però soprattutto mostrato quanto facile sia mettere in difficoltà il nostro sistema sanitario, il nostro sistema economico, le nostre vite. Il covid-19, però, ha soprattutto esasperato quelle sacche di marginalità sociale che Aule come queste sono chiamate a superare.
Fino ad oggi abbiamo tutelato l’interesse della salute pubblica e il fondamentale diritto a quella individuale.
Tante, troppe persone non ce l’hanno fatta. E questo sarà per sempre il solo danno irreparabile, pensando soprattutto ai loro cari e ai loro familiari. Tutto il resto siamo chiamati a ricostruirlo. Adesso.
Per farlo serve un Paese unito, un obiettivo condiviso. Il Lazio ha tutto per farcela.
Uno dei temi da cui ripartire è la scuola, infrastruttura sociale e volano di crescita insostituibile per fare del Lazio la Regione della conoscenza e dell’Italia il Paese dell’innovazione.
A causa del covid-19, ragazze e ragazzi, ma più che mai i nostri bambini e le nostre bambine si sono trovati all’improvviso chiusi in casa, privati del momento del gioco con i loro compagni, da un giorno ad un altro senza che noi stessi fossimo in grado di fornire spiegazioni plausibili ai loro occhi. Solo loro sanno quanto difficile possa essere stato e per questo tutti i livelli della politica, dal più generale al più prossimo, sono preoccupati su quello che succederà a settembre, quando finalmente si potrà tornare in classe.
Ricordo quando il Presidente Zingaretti e la sua Giunta, durante l’isolamento appena trascorso, hanno lanciato il progetto “Nessuno escluso”. Io credo che lo spirito di quell’iniziativa che tanti ha aiutato dovrebbe, anzi, dovrà essere applicato a tutti i campi della vita del nostro Paese e della nostra Regione. Soprattutto, voglio dirlo con forza, nessuno deve essere escluso dalla scuola.
Essa rappresenta uno strumento essenziale e irrinunciabile del fare comunità. L’educazione che si riceve a scuola contamina la famiglia e la comunità che il bambino vive. Tiene insieme bambini e ragazzi, famiglie e istituzioni.
Non mi stancherò mai di dirlo: la scuola è la misura del benessere di un sistema e la povertà, specie quella minorile, non è solo economica. Se a parità di condizione economica della famiglia fa la differenza avere servizi di qualità, accessibili a prescindere dal reddito, figurarsi quando si parte da una condizione patrimoniale che rasenta la povertà.
Nel senso comune, è diffusa la consapevolezza di quanto sia aumentato il numero di poveri in Italia nel corso dell’ultimo decennio. La possibilità, anche per chi nasce in una famiglia povera, di avere a disposizione gli strumenti per sottrarsi da adulto alla marginalità sociale è l’unico strumento che dobbiamo garantire a tutti perché, altrimenti, si rischia di incancrenire le disuguaglianze e di impedire la mobilità generazionale e sociale.
È un circolo vizioso: chi nasce in una famiglia in difficoltà economica avrà dalla sua meno strumenti per uscire dalla marginalità. Non vedrà nella scuola lo strumento per crescere e trovare il suo luogo nel mondo. Le statistiche dicono che in questi casi l’abbandono scolastico avviene prima del tempo. E da adulti, in un mondo accelerato e fatto di competenze e specializzazioni, chi non è scolarizzato avrà più difficoltà a trovare un lavoro. Non si tratta solo un problema di gratificazione personale, ma anche sociale ed economico: si troverà con maggiore probabilità in disoccupazione, dipenderà più della media dai programmi di assistenza. E, a sua volta, potrà offrire meno opportunità ai suoi figli, perpetuando questo circolo vizioso e costituendo un’insopportabile ipoteca sul futuro dell’intero paese.
Una discriminante fondamentale è l’accesso ai servizi essenziali e la loro qualità. Ciò è ancora più vero per i bambini e gli adolescenti. A parità di reddito della famiglia, fa una differenza enorme poter disporre di una buona rete di servizi pubblici sul territorio. Contrastare la povertà nella fascia più giovane della popolazione significa offrire concretamente a tutti i bambini e gli adolescenti, a prescindere dal reddito dei genitori, uguali opportunità educative.
Perciò è ineludibile un forte investimento sull’educazione, intesa in senso lato, dalla scuola ai servizi rivolti ai minori. Investire nell’istruzione pubblica, gratuita e di qualità. Affinché non sia la classe sociale a determinare il futuro delle persone.
Per questo, come avrete visto esaminando il testo su cui andremo a lavorare, la p.l. n. 99 si è voluto mettere nero su bianco che l’obiettivo è rendere gratuiti i servizi educativi per l’infanzia, anzitutto come risposta ad un diritto universale per tutte le bambine e i bambini; in secondo luogo quale leva per la piena partecipazione delle donne alla vita lavorativa e sociale, perché riteniamo inaccettabile ogni arretramento che pure sotto questo profilo l’emergenza covid ha esasperato.
I benefici associati alla diffusione dei servizi per la prima infanzia, sia in termini di occupazione delle donne che di sviluppo cognitivo e non-cognitivo dei bambini, sono stati ampiamente dimostrati dalla letteratura scientifica.
Save the children ha di recente diffuso il rapporto “Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita” mettendo in luce che le mamme lavoratrici svolgono una fondamentale funzione di contro la povertà educativa, in particolare per i bambini che vivono in un contesto di disagio socio-economico. Secondo i risultati dell’indagine, infatti, i bambini con madre disoccupata o che si dedica a un lavoro di cura non retribuito rispondono rispettivamente in modo appropriato al 38,4% e al 43,1% dei quesiti sottoposti. Una percentuale notevolmente inferiore rispetto a quella dei bambini la cui madre svolge un lavoro manuale (48%), un lavoro da impiegata (51%) o da dirigente, imprenditrice o libera professionista (55%).
Del resto, vanno in questa direzione anche le raccomandazioni del rapporto Ocse 2018 sulla mobilità sociale, che per l’Italia indica come priorità garantire l’accesso all’educazione di qualità, dall’asilo all’istruzione terziaria, ai bambini e ai giovani svantaggiati.
In ambito europeo, peraltro, è stato chiesto agli Stati membri di garantire un livello minimo di offerta nei servizi per l’infanzia. Nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000 venne stabilita come priorità il potenziamento dei servizi nell’età prescolare. Lo scopo dell’iniziativa era l’incremento dell’occupazione femminile, più che al ruolo educativo del servizio. Ma per la prima volta veniva concepita l’idea di misurare e verificare l’impegno degli Stati su questo tema. Fu con il Consiglio di Barcellona del 2002 che la strategia venne declinata in due obiettivi concretamente misurabili. Nell’età immediatamente precedente l’obbligo scolastico, tra i 3 e i 5 anni, venne stabilita la necessità di offrire un posto almeno al 90% dei bambini. Per la prima infanzia fu indicato come target di arrivare ad almeno 33 posti ogni 100 bambini sotto i 3 anni.
In Italia l’obiettivo di offrire posti per almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni ha dato l’impulso a diversi interventi normativi. Il primo è stato un piano straordinario per lo sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia, avviato del 2007 e concepito proprio per avvicinarsi alla soglia minima stabilita in ambito europeo.
Nel frattempo, valorizzandone l’aspetto educativo e formativo, la nostra Corte costituzionale ha ricondotto gli asili nido nella materia dell’istruzione, sminuendone la caratterizzazione socio-educativa e così affidandoli alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
Recependo tali sollecitazioni e cercando di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea, molto recentemente, il Governo ha adottato il decreto legislativo n. 65 del 2017, inserendo gli asili nido e in generale i servizi socio-educativi dedicati alla fascia d’età 0-3 anni all’interno del cosiddetto sistema integrato di educazione e istruzione per l’infanzia, a tutti noto come sistema 0-6.
Questa normativa offre una nuova visione di educazione che parte dalla nascita ed accompagna in forme diverse tutta la vita delle persone. Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale. Una legge che diventa lo strumento principale per l’attuazione di questo diritto e il dovere dello Stato nel garantirlo.
Il sistema integrato ha come prima finalità quello di garantire alle bambine e ai bambini pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione, gioco, superando le diseguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali, oltre alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei genitori, la promozione della qualità dell’offerta educativa e della continuità tra i servizi educativi e scolastici, la partecipazione delle famiglie. Viene messa in evidenza anche la funzione strategica della scuola d’infanzia come elemento di snodo nel percorso educativo tra i sevizi educativi per l’infanzia e la scolarità obbligatoria.
Con la proposta di legge n. 99 che stiamo oggi qui portando ad approvazione abbiamo voluto determinare una svolta, un nuovo approccio. In un clima di collaborazione massima nella Commissione che presiedo con tanto onore e tanta voglia di fare, abbiamo voluto portare la Regione Lazio ad essere la prima tra tutte le regioni italiane ad attuare con legge – e non con semplici linee guida o delibere di giunta – i principi fondamentali fissati a livello nazionale.
La Regione Lazio manca di una normativa organica e moderna sugli asili nido da circa 40 anni. 40 anni fa c’era ancora il delitto d’onore. La violenza sessuale era ancora punita come reato contro la moralità e il buon costume e non come delitto contro la persona. La legge 194 non esisteva. La riforma del diritto di famiglia che ha sancito la parità tra i coniugi neppure.
È a tutti evidente che la legge regionale del 1973, per quanto nel tempo più volte modificata, non è più in grado di dare risposte alle trasformazioni della nostra società che ormai, e giustamente, non considera più l’asilo nido come un parcheggio di bambine e bambini, un servizio socio assistenziale, ma come primo e fondamentale tassello di crescita degli adulti del domani, sì, ma delle bambine e dei bambini di oggi.
Il Sistema Integrato di Educazione e di Istruzione, infatti, garantisce a tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni, pari opportunità di sviluppare le proprie potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento per superare disuguaglianze, barriere territoriali, economiche e culturali.
Tra le finalità abbiamo fortemente voluto anche la continuità del percorso educativo e scolastico, il sostegno alla primaria funzione educativa delle famiglie, la conciliazione tra i tempi di vita dei genitori. Abbiamo disciplinato la figura del coordinatore pedagogico, inserito i singoli servizi educatici in una rete di servizi territoriali che possa aiutare il territorio di riferimento, spesso grande e variegato, a rispondere efficacemente alle esigenze delle famiglie. Abbiamo puntato a garantire sulla qualità del servizio di mensa scolastica, a tutelare il lavoro, a fare in modo che il numero degli educatori e delle educatrici sia parametrato alla presenza dei bambini negli spazi gioco e in quelli di apprendimento.
Importante è anche la previsione sui Poli per l’Infanzia che riuniscono in un unico contesto più strutture dedicate all’educazione e istruzione per i piccoli all’interno di uno stesso percorso educativo, dal nido agli spazi gioco, fino alla scuola dell’infanzia. L’obiettivo è quello di creare dei veri e propri laboratori permanenti di ricerca, innovazione, partecipazione e apertura al territorio.
È inoltre presente un focus sulla qualità dell’offerta educativa attraverso la qualificazione universitaria del personale educativo e docente, la promozione dell’eco sostenibilità delle strutture tramite contributi straordinari ai Comuni, ma anche la regolarizzazione di servizi educativi sperimentali come gli asili nel bosco, gli agrinido e i nidi domestici e l’educazione dei nostri piccoli alla lingua inglese, all’educazione musicale, all’ascolto di letture.
Il tutto con un’importante copertura finanziaria pari a 10,5 milioni per il 2020, 17 milioni per il 2021 e 21 milioni per il 2022, oltre i trasferimenti statali.
Ciò con l’ambizioso obiettivo di garantire una copertura del 75% dei Comuni che devono essere i primi a capire che la qualità e la diffusione dei servizi di educazione e istruzione per l’infanzia modella la fisionomia di un territorio, sia esso il quartiere di una grande città o un piccolo comune montano perché facilita l’incontro tra diversità.
Ed infatti, nelle aule delle scuole sparse per l’Italia non c’è solo il paese che saremo. C’è il paese che già siamo, con le sue contraddizioni e punti di forza. Differenze culturali, disuguaglianze economiche, divari territoriali convivono quotidianamente all’interno della classi, degli atri e dei cortili. Ogni bambino, a 6 anni, inizia la scuola dell’obbligo con un proprio pregresso: la famiglia di origine, le esperienze fatte, l’aver ricevuto o meno istruzione prescolare. Nel suo percorso incontrerà altre ragazze e ragazzi che provengono da contesti familiari diversi dal suo, per condizione sociale e identità culturale. Un incontro che per realizzarsi positivamente chiama in causa la capacità della comunità educante di avvicinare e includere realtà diverse.
In considerazione degli effetti dell’emergenza covid-19 sul sistema dei servizi per l’infanzia, il primo obiettivo sarà quello di non arretrare sul fronte delle liste d’attesa, riducendole fino ad abbatterle. Più in generale, il nostro sostegno al sistema integrato dei servizi educativi per la fascia d’età 0-6 anni ha come obiettivo strategico quello dell’inclusione sociale e del contrasto alla povertà educativa, per assicurare a tutti pari diritti e offrire pari opportunità, valorizzando le progettazioni e lo scambio di buone pratiche con Enti locali, Ufficio Scolastico Regionale e Terzo settore.
Non posso nascondervi che questa proposta di legge è per me veramente importante. Conoscete tutti le battaglie e i temi che maggiormente mi stanno a cuore, primo tra tutti quello della parità tra uomini e donne. Ebbene, io credo che le misure e le azioni positive che la Regione Lazio sta mettendo in campo negli ultimi anni sotto questo profilo meritino la costruzione di fondamenta solide.
Sono convinta di ciò che domani ci saranno donne e uomini in condizioni di parità se e solo se oggi ci sono bambine e bambini al centro dell’agenda politica. Se e solo se madri e padri possono contare su servizi educativi di qualità per sentirsi affiancati nel percorso di educazione di bambine e bambini alla socialità, all’alterità, al rispetto e alla conoscenza di sé e degli altri. Perché solo generando consapevolezza possiamo tornare capaci di riconoscere il valore assoluto del nostro essere relazionali, del nostro essere insieme. Solo iniziando dai servizi educativi possiamo infondere nelle bambine e nei bambini la più bella delle virtù: la giustizia, soprattutto sociale, che è la virtù più bella, “più bella della stella della sera e della stella del mattino”, come scriveva Aristotele. E lo è perché solo la giustizia è virtù specificamente relazionale, attraverso la quale uomini e donne riescono ad essere veramente persone.
Grazie a tutte le Colleghe e i Colleghi della Commissione, al personale amministrativo che ha veramente trattato questa proposta di legge come fosse sua. Depositata a gennaio del 2019, la p.l. 99 ha conosciuto ben tre segretarie amministrative, è stata oggetto di numerosissime audizioni, critiche, interventi emendativi volti a migliorare gli aspetti più controversi, ad introdurre novità e sperimentazioni davvero interessanti, a sottrarre bambine e famigli da servizi illegali. Grazie al servizio legislativo di questo Consiglio che è davvero di elevata qualità professionale ed umana. Grazie ai funzionari ai dirigenti della Giunta che hanno sempre, con puntualità e competenza, aiutato tutti noi a capire e a migliorare.
Grazie, grazie davvero, all’Assessora Troncarelli e all’Assessora Sartore per il sostegno che mi hanno dato per arrivare a portarla in quest’Aula in tempi davvero brevi se consideriamo la strutturalità di questo intervento e l’assenza, in Italia, di una legge come questa.
Grazie al Presidente Zingaretti che, soprattutto in questo periodo, ha sempre inteso sottolineare l’importanza della scuola.
Grazie a tutte le Colleghe e a tutti Colleghi