IL PIU’ GRANDE INVESTIMENTO SUL FUTURO E’ LA NOSTRA SCUOLA

È ormai chiaro che l’emergenza causata dal COVID-19 sia molto più che una crisi sanitaria. Siamo di fronte a una crisi sociale e umana senza precedenti che sta mettendo a dura prova i nostri sistemi sociali e di convivenza, costringendoci a ripensare modalità e tempi delle relazioni e a rimodulare paradigmi e schemi consolidati.
La crisi è trasversale e spietata, ma non colpisce tutti allo stesso modo. Chi era più fragile e vulnerabile in passato, oggi è più esposto ai rischi sotto ogni punto di vista, in primis quello medico ed economico e poi sociale e psicologico.

C’è poi una specifica categoria a rischio che in un primo momento sembrava essere stata dimenticata tra le righe dei decreti ed è quella dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze.
I nostri giovani, dalla più tenera età all’adolescenza, hanno subìto uno sconvolgimento della quotidianità che non ha precedenti. La mancanza di contatti sociali con i coetanei, il blocco della routine scolastica e hobbistica, una convivenza forzata con genitori ed eventuali fratelli o sorelle che rischia di non lasciare i legittimi spazi di autonomia. Tutti loro hanno seguito diligentemente le disposizioni di sicurezza, subendo spesso un doppio carico di stress (proprio e dei genitori) e trovandosi impotenti di fronte alla perdita di persone care e un futuro, il loro futuro, che sembra essere tutt’altro che rassicurante.

Concentrandoci in particolare sulla dimensione scolastica, vediamo come la crisi abbia messo in luce problemi di lunga data e posto nuove esigenze per il presente e il futuro.
Dal 5 marzo le scuole sono chiuse per tutti gli 8,4 milioni di studenti del Paese e con tutta probabilità nessuno tornerà in aula prima di settembre.

L’impatto dell’emergenza sulla scuola non è solo immediato, ma anche di medio e lungo termine e il nostro compito, in quanto classe dirigente, deve essere quello di trovare instancabilmente soluzioni affinché nessuno venga lasciato indietro. Affinché la scuola continui ad essere il baluardo delle pari opportunità, l’agenzia educativa portante al fianco della famiglia e il luogo in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze crescono, socializzano e costruiscono gli adulti che saranno nel domani.

Non possiamo ignorare come il peso della chiusura delle scuole e di tutte le difficoltà che ne derivano, gravi in misura maggiore sugli studenti che già si trovavano in contesti familiari e sociali difficili e/o in condizioni di povertà educativa. Bambini e adolescenti per cui la vita scolastica, in presenza, rappresentava più che per altri una dimensione di riscatto e di opportunità per sognare un futuro migliore.

A fronte della chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, certamente la questione più urgente è stata ed è tuttora quella di garantire la continuità didattica. Lo strumento migliore in tal senso è stato individuato, prima informalmente e poi ufficialmente, nella didattica a distanza. Migliaia di presidi, docenti, studenti e studentesse si stanno sforzando per entrare in questa nuova dimensione virtuale della quotidianità scolastica, con grande impegno e serietà, ma non senza enormi difficoltà.

Da un lato, quello dell’offerta educativa, si evidenziano spesso la mancata attrezzatura e la lacunosa formazione dei docenti e dall’altro, quella dell’utenza, pesano le diverse condizioni di partenza degli studenti che portano a differenti livelli di accesso alla didattica stessa.

La promozione della DaD fa emergere profonde disuguaglianze, difficili da ignorare.

Il primo ostacolo è sicuramente quello delle barriere digitali tra classi e corpo docente. L’analfabetismo digitale degli insegnanti, ossia l’insieme delle difficoltà tecniche e della mancanza di competenze digitali adeguate rende difficile proporre e portare avanti efficacemente la didattica a distanza. I docenti, soprattutto quelli più prossimi al pensionamento, si sono trovati di fronte a strumenti mai utilizzati e ad una necessaria rivoluzione e rimodulazione di schemi didattici applicati per anni.
Per quanto riguarda gli studenti, invece, emerge il problema dei dispositivi elettronici. Così come le scuole faticano a reperire la necessaria dotazione di attrezzatura, non tutte le famiglie dispongono di un numero sufficiente di dispositivi elettronici per soddisfare le esigenze di smart learning e smart working di ogni componente. Un terzo delle famiglie italiane (33,8%) non possiede un PC o tablet e solo il 18,6% possiede due o più dispositivi. Questo significa che molti studenti si trovano materialmente impossibilitati a seguire le lezioni a distanza. A questo si aggiunge poi la questione del passaggio da dispositivi smartphone a strumenti come tablet o laptop che crea dei problemi nella fruizione della didattica. La quasi totalità (96,5%) degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni che hanno navigato in internet negli ultimi 3 mesi lo ha fatto tramite smartphone, meno di 1 su 2 ha usato anche un computer fisso da tavolo (40,8%) e meno di 1 su 3 un laptop (28,1%) o un tablet (26,3%). Non stupisce allora che anche tra i nativi digitali si rilevano forti lacune nelle capacità di fruizione degli strumenti on line e di conseguenza dell’accesso agile ai contenuti didattici.
Anche quando si dispone dei dispositivi sorgono problemi legati alla connettività che non solo deve esserci, ma deve essere adeguatamente performante. Quasi tutte le famiglie con almeno un minorenne dispongono di un collegamento a banda larga sul territorio di riferimento (95,1%), ma rimangono fuori 61mila famiglie con figli adolescenti (almeno un figlio di 14-19 anni) che non hanno accesso a internet da casa.
Questo scenario di forte disomogeneità e disparità nell’accesso alla didattica a distanza, unito alle conseguenze di base legate all’allontanamento prolungato dal contesto scolastico, rischia di avere seri effetti sugli studenti di ogni età. In primis, per il rischio di interrompere de facto il processo di apprendimento e, poi, di acuire situazioni di marginalità e disagio, allungando le distanze che dentro le aule, faticosamente, si cerca di colmare.

Alle problematiche della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, si aggiungono, poi, quelle del mondo dell’infanzia.
La scuola materna e il nido e tutto l’universo dei servizi educativi per l’infanzia subiscono le conseguenze della crisi in maniera differente, ma non meno acuta.

I bambini e le bambine si sono trovati immersi in un contesto emergenziale, di stress e caos, che ha stravolto completamente la loro quotidianità senza che potessero avere gli strumenti per capirne i motivi. Solo il futuro ci restituirà cosa è veramente stato il coronavirus per i nostri piccoli, ma ciò che è certo è che essi sono forse i più colpiti dalla crisi e dallo stand- by scolastico.
Per la fascia di utenza dei servizi per l’infanzia, in particolare quella 0-3, la chiusura delle strutture ha significato la perdita improvvisa della dimensione ludica e delle relazioni tra pari, di fondamentale importanza per lo sviluppo psico-fisico e insostituibili, come per i più grandi, con la tecnologia e i social-network.

Non bisogna dimenticare che il sistema integrato dei servizi educativi per l’infanzia coinvolge i bambini e le bambine, ma anche le strutture e i gestori e le famiglie. Parliamo di presidi territoriali e sociali imprescindibili che rischiano la chiusura a causa dell’emergenza sanitaria ed economica. Alla mancanza delle entrate (soprattutto per i privati che vivono esclusivamente delle rette familiari) e la persistenza della maggior parte dei costi fissi, deve corrispondere una soluzione istituzionale che scongiuri la chiusura e tenga insieme occupazione e diritto all’educazione e alla crescita sana ed equilibrata.

Sostenere le strutture significa consentirne la riapertura, in serenità e sicurezza, al momento opportuno, senza privare le famiglie e i bambini di un servizio fondamentale e senza lasciare indietro nessuno, specialmente i più fragili.

Tutto questo scenario ci impone una riflessione seria e urgente sulla scuola del futuro. Una scuola che in ogni ordine e grado sia inclusiva, efficiente, propulsiva. Che, oltre alle nozioni didattiche, sappia dare spazi di autonomia e crescita ai nostri giovani. Che sia il luogo delle pari opportunità e dei sogni.

Non dobbiamo lasciare soli i giovani che qualche mese fa erano in piazza a protestare per un pianeta migliore e oggi sono privati dell’emozione dell’ultimo giorno in classe prima degli esami di maturità. Non dobbiamo lasciare soli i bambini e le bambine che hanno diritto di tornare a giocare all’aria aperta con i propri amici, di ridere e di abbracciare i propri cari.

Una generazione generosa e resistente ci sta lasciando, in silenzio, a causa dell’epidemia e noi dobbiamo permettere alle nuove generazioni di essere alla loro altezza e di godere pienamente della libertà che i nonni e le nonne hanno combattuto per donare loro.

Le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze, sono il nostro futuro e il nostro più grande investimento. Non sappiamo cosa ci aspetta, ma abbiamo il dovere di provare a lasciare loro un mondo migliore, più sicuro e all’altezza delle loro aspettative. Che siano tempi più o meno duri, la nostra grande sfida, come classe dirigente, sarà quella di non abbandonare la scuola e trasformarla nel laboratorio del futuro, nel rifugio degli adulti del domani, che hanno il diritto di vivere, studiare, crescere e sognare oggi.

#conlatestaconilcuore