DALL’IO AL NOI: L’EMERGENZA DIVENTI L’OPPORTUNITA’ DI RISCOPRIRCI COMUNITA’
DALL’IO AL NOI: L’EMERGENZA DIVENTI L’OPPORTUNITA’ DI RISCOPRIRCI COMUNITA’
Torneremo a pedalare. Sono giorni particolari quelli che ci troviamo a vivere. Un’emergenza sanitaria straordinaria. Un Paese costretto a bloccarsi. Un popolo spaventato.
Tutti noi, in questi giorni che passeranno alla storia, ci sentiamo più vulnerabili, spesso spaventati. La nostra natura umana torna fuori insieme alla paura dell’ignoto. Questo virus, il nostro nemico odierno, è invisibile eppure maledettamente tangibile: lo sentiamo nella paura di abbracciarci, di stringerci la mano, di toccare ogni oggetto fuori e dentro le abitazioni, perché tutto ci appare potenzialmente veicolo di contagio. Siamo stati trasportati da un giorno all’altro in una sorta di universo parallelo che ci priva del contatto fisico e ci costringe a ripensare il modo che abbiamo di usare il nostro tempo. Ci costringe a riflettere su quanto sia importante la relazione con l’altro e quanto, tanto di ciò che diamo per scontato, non lo sia affatto.
Questa battaglia va combattuta con tutte le armi in nostro possesso e quindi, in primis, con resilienza e senso civico.
Ai nostri nonni è stato chiesto di andare al fronte per difendere la Patria, a noi basterebbe attenersi a poche semplici regole: per chi ha la fortuna di averne una, restare in casa. Uscire solo quando strettamente necessario ossia per lavoro, ove ancora possibile e richiesto, e per reperire beni di prima necessità.
Ognuno di noi ha in mano le sorti del Paese. Non possiamo permetterci di ragionare egoisticamente. Questo è il momento di dimostrare di essere in grado di passare dall’io al noi, di pensarsi comunità ed agire, di conseguenza, per il suo bene.
Non possiamo sapere come il nostro corpo reagirebbe al contagio o chi verrà a contatto con noi, tantomeno possiamo controllare ogni spostamento a catena. Il contagio è capillare e incontrollabile e l’unico modo efficace che abbiamo per bloccarlo è quello di evitare il più possibile la sua attivazione.
Come donna delle istituzioni, il mio impegno in questi giorni è quello di garantire ai cittadini e alle cittadine risposte concrete. Un lavoro silenzioso e non sempre immediato, ma necessario, portato avanti insieme ai tanti colleghi che su ogni livello di governo si stanno attivando al fianco delle proprie comunità.
A questo proposito va un grazie particolare a tutti gli italiani e le italiane che, per garantire a tutta la comunità i servizi essenziali, continuano la propria attività lavorativa mettendo a rischio se stessi e i propri cari.
In particolare, una categoria merita ogni nostro ringraziamento e tutta la nostra stima: gli operatori sanitari, i medici, gli infermieri. I nostri angeli con il camice, che stanno sacrificando giorni e notti per garantire a tutti cure ed attenzioni adeguate. Nelle loro mani è il nostro destino.
Spezzano il cuore le immagini di donne e uomini straziati dopo doppi o tripli turni in ospedale. Le storie di chi li aspetta a casa che raccontano di una volontà a non abbandonare. Non adesso. Non finché non sia obbligatorio. In quella resilienza, nelle cicatrici procurate dall’uso prolungato delle protezioni, nelle loro lacrime e sorrisi, c’è l’Italia che amo e di cui vado orgogliosa.
Usciremo da tutto questo solo con un grande senso di responsabilità, siamo uomini e donne dello Stato e abbiamo sulle nostre spalle il destino comune. E la mia mente va a Vittorio Foa, che aveva passato 20 anni della sua giovinezza in carcere durante il fascismo, scriveva in epigrafe alla sua biografia di quegli anni: sembrano disgrazie ma sono opportunità. Perché in carcere lui, e tanti altri, avevano studiato e così si era preparata una classe dirigente colta dell’Italia democratica. Non staremo 20 anni in casa, ma cerchiamo anche noi di fare di questa nostra disgrazia, un’opportunità.
Ognuno faccia la sua parte, per i nostri nonni e per i nostri figli. Per la nostra Italia, che ha bisogno del coraggio e della forza di tutte e tutti.
Torneremo ad abbracciarci, saremo cambiati, ma sarà un’altra storia.