IL RUOLO DELLA DONNA SECONDO MATTEO SALVINI

Forse non tutti conoscono la pratica del Sati. Attuata in India tra il 1815 e il 1818, prevedeva che una volta morto il marito, la vedova si immolasse viva sulla pira funeraria del consorte defunto. Il rito era percepito come un atto di devozione verso il marito e solo le donne “virtuose” erano in grado di compierlo. In quegli anni furono registrati ben 2366 casi di pratica del Sati.

La storia che raccontiamo oggi è una vicenda dei nostri giorni, che vede ancora protagoniste le donne. Donne che hanno impiegato anni per conquistare faticosamente la propria libertà di autodeterminazione e il diritto a dire la prima e l’ultima parola sul proprio corpo e sulle proprie gravidanze. Donne purtroppo non “virtuose” a tal punto da divenire oggetto di propaganda di Matteo Salvini.

Il pronto soccorso non è la soluzione a stili di vita incivili“. Così ha sentenziato sulla pubblica piazza il leader della lega.

Ancora una volta, si cerca di spostare l’attenzione da una cultura preventiva ad una cultura punitiva. Le donne non “virtuose”, quelle che chiedono di abortire, dunque, vengono messe sotto accusa pubblicamente. Non solo, si acconsente al fatto che la pubblica piazza ispezioni e indaghi i presupposti e i motivi che portano la donna ad una decisione che, già di per sè, ferisce il proprio animo e la propria biologia.

Non importa che le dichiarazioni di Salvini siano tribali, non importa che le donne che tacitamente si accostano all’ interruzione di gravidanza, portano dentro una scelta straziante che non avrebbero voluto fare. Non importa che si tratta di donne fragili, che vivono quella circostanza per un errore drammatico, per disperazione, per ignoranza.

Non importa, soprattutto, sapere che se una donna non ha intenzione di portare avanti una gravidanza, troverà comunque un modo per non farlo, e se non sarò l’ospedale ad ospitarla, finirà in mani inesperte. Rischiando la propria vita.

Per Matteo Salvini tutto ciò non conta.

Quel che conta è ridefinire il ruolo della donna ignorando il principio dell’autodeterminazione che presuppone conoscenza e consapevolezza. Quella conoscenza del proprio corpo e quella consapevolezza delle proprie scelte, libere dall’eredità che deriva da secoli di predominanza maschile, basata tutta sulla differenza sessuale che si traduce in una presunta differenza di ruoli e nella tensione tra libertà e potere. Si ripropone un antico dualismo: da una parte la “Donna oggetto”, strumentale, mera destinataria passiva dell’attribuzione di funziona; dall’altra la “Donna virtuosa” che, nel supremo sacrificio della pratica del Sati, si spegne tra le fiamme perché non serve più e non può servire altri. E no per un atto d’amore.